10 giugno 2023

NEUROMARKETING E NEUROECONOMIA

Cos'è il Neuromarketing? 

Con tale termine, coniato da Ale Smidts (Smidts, 2002) ci si riferisce a quella branca delle Neuroscienze e della Psicologia che si occupa dell'analisi e dello studio delle risposte cerebrali che si attivano all'esposizione di uno stimolo pubblicitario o alla vista di un prodotto o un particolare brand. Il Neuromarketing sta diventando sempre più importante all'interno delle aziende che, "entrando" nella testa del consumatore sono in grado di prevedere e controllare i processi razionali ed irrazionali relativi all'acquisto di un particolare prodotto. 

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Le domande a cui risponde il Neuromarketing sono: per quale motivo il consumatore dovrebbe acquistare questo prodotto? Cosa determinerà la sua scelta futura? Quali vantaggi ha per la sua vita? Quale è il suo coinvolgimento emotivo nel processo decisionale? Grazie a tecnologie sempre più complesse e sofisticate è possibile predire il comportamento degli utenti, monitorare in tempo reale come rispondo agli stimoli pubblicitari e comprendere cosa guida il processo decisionale che porta all'acquisto di un particolare brand. Durante la giornata siamo continuamente esposti a input sensoriali elicitati messaggi pubblicitari, cartelloni stradali, design di prodotti di consumo che, quando vengono considerati abbastanza rilevanti, sono trattenuti in memoria e sono collegati a vecchi ricordi pubblicitari o esperienze di acquisti precedenti. Successivamente, vengono analizzati a livello inconscio e sono proprio questi processi inconsci, guidati dal nostro cervello rettiliano e paramammaliano, che generano associazioni con un particolare brand da cui scaturiscono determinate sensazioni ed emozioni. 

Che vantaggio ha tutto questo?

Semplice! Le vendite e le entrate aumentano, mentre i costi di produzione diminuiscono grazie a tecnologie sempre più avanzate. 

Con l'obiettivo di comprendere quali processi mentali si attivano nella mente dell'utente esposto ad un messaggio pubblicitario o ad un brand di un determinato prodotto, il Neuromarketing impiega diversi strumenti non invasivi che monitorano l'attività cerebrale di un individuo ed evidenziano quelle che sono le sue risposte inconsce agli stimoli cui è esposto, quali: 

- Elettroencefalogramma (EEG); 

- Facial coding; 

- Risonanza magnetica funzionale (fMRI); 

- Eye-traking; 

- Skin conductance e analisi vocale. 

Dal momento che, dalla letteratura scientifica emerge che ben il 95% delle decisioni legate all'acquisto di un prodotto o all'essere maggiormente sensibili ad un messaggio pubblicitario dipenda da processi profondi, inconsci ed emozionali, questi strumenti consentono di analizzare quali sono le campagne pubblicitarie più efficaci intraprendendo percorsi più mirati agli obiettivi dei produttori commerciali. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo


26 maggio 2023

IMMUNITA' COGNITIVA

Oggi la maggior parte delle persone adotta differenti strategie per proteggere il proprio sistema immunitario, fare ginnastica e correggere la propria dieta o evitare routine che possano danneggiare la salute fisica. Tutto ciò si riferisce al sistema immunitario fisico. 

Ma la mente? Come possiamo proteggere il nostro cervello e la vita psichica da "microbi" letali come idee, pensieri, credenze, atteggiamenti e comportamenti negativi che mirano a distruggerlo? 

Grazie al dottor Andy Norman possiamo rispondere a queste domande attraverso il concetto di "Immunità cognitiva" che si riferisce alla capacità di filtrare tutte quelle informazioni nocive e deleterie da lui definite "virus cognitivi", di cui oggi i media possono essere portatori. Detto ciò, è evidente come sia fondamentale prendersi cura della salute mentale e della vita psichica oltre che della salute fisica. 

Bisogna sottolineare come, sebbene questo concetto sia presente in letteratura da almeno cinque anni, oggi è diventato assai più rilevante per la proliferazione dei social network. Infatti, capita ormai sempre più spesso di sentire il termine "biologia della disinformazione" proprio per indicare come alcuni media si comportino come dei veri e propri virus biologici insinuandosi nelle nostre menti e inculcandoci idee, credenze e comportamenti non appropriati. Questi "microbi mentali" hanno lo scopo di manipolarci e creare immagini e rappresentazioni alterate e distorte della nostra realtà. 

Un concetto molto utile a cui possiamo fare appello ed allenarlo nel tempo è quello relativo al "sé immunitario". Esso si riferisce alla capacità di percepire e riconoscere ciò che proviene dal mondo esterno e che può distruggere il nostro sistema immunitario cognitivo, proprio come accade per il sistema immunitario fisico. 

Grazie alla pubblicazione del suo libro "Mental Immunity", il dottor Andy Norman espone in maniera dettagliata il concetto di immunità cognitiva e come fare per evitare che i "microbi mentali" provenienti dai media possano danneggiare irrimediabilmente la salute mentale, l'immagine e la rappresentazione del mondo esterno. 

Il dottor Norman indica alcuni principi chiave per fronteggiare al meglio i "microbi mentali" che spesso e volentieri i media diffondono senza tener conto delle percezioni, emozioni e sentimenti soggettivi che potrebbero affiorare nelle menti di chi fruisce tali informazioni. Il modello C (Consapevolezza), A (Autoriflessione) e A (Attenzione e Risveglio) meglio spiega i principi chiave. 

- Consapevolezza: essere consapevoli del fatto che alcune cose che arrivano potrebbero non essere utili, veritiere e benefiche e quindi agire da destabilizzatori della nostra vita psichica. 

- Autoriflessione: insieme all'immunità cognitiva, l'autoriflessione è la via della salvezza per distogliere l'attenzione dalle certezze che dai media vengono veicolate con assoluta rigidità rendendoci prede facili della manipolazione. Attraverso la capacità metacognitiva dell'autoriflessione siamo in grado di spegnere il pensiero rigido e inflessibile per poter mettere in discussione qualcosa che viene data per assolutamente scontata.  

- Attenzione: bisogna stimolarsi a essere vigili e "svegli" di fronte a ciò che ci viene proposto attraverso i medie. Bisogna rimanere focalizzati sulle informazioni che provengono dal mondo esterno alla nostra mente. Norman indica proprio in questa capacità cognitiva il fulcro di tutto il suo modello: oggi siamo continuamente bombardati da pubblicità spesso inutili, notifiche sugli smartphone e email, una quantità spropositata di informazioni che ha causato la perdita della focalizzazione e di conseguenza del benessere psicologico e della nostra immunità cognitiva. Allenare l'attenzione, il filtraggio delle informazioni esterne, allenare un attivo sguardo interiore è la via salvifica per proteggere la vita psichica del nostro cervello. 

Dopo questa breve trattazione, è evidente come l'immunità cognitiva sia sicuramente un valido alleato contro la letalità della biologia della disinformazione. Attraverso l'allenamento dello sguardo interiore, del pensiero e del senso critico può salvaguardare il nostro benessere psicologico proteggendoci dalla manipolazione di idee, pensieri e credenze che vengono spacciate come portatrici di verità ma che in realtà non lo sono affatto. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo

25 maggio 2023

L'arte come terapia

L'arte è esperienza sensoriale in quanto coinvolge sensazioni visive, acustiche, tattili, olfattive, percezione ed organizzazione dello spazio attraverso la messa in campo di molteplici processi cognitivi ed emozionali. 

L'obiettivo dell'arte come terapia in psicologia è la lettura dell'anima dell'opera nel suoi insieme di elementi di espressività ed immaginazione. L'arte permette di "andare oltre", di dare significato al significante (l'opera d'arte nel suo insieme) e quindi costruire una comunicazione intrisa di significati profondi e nascosti attraverso la percezione emotiva. 

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"Creando potevo guarire, creando ritrovavo la salute." (Kierkegaard)

La chiave dell'arte terapia in cosa consiste? 

La chiave è da ricercarsi nel potere delle immagini, che al contrario delle parole che possono nascondere, mentire o dimenticare, esse sono pure, autentiche ed immediate in quanto partono dal profondo ed è più facile esprimerle dato che non innalzano muri difensivi. 

L'arte quindi si trasforma in terapia nel momento in cui viene adoperata con consapevolezza come uno "strumento attraverso cui...", uno strumento che agisce attivamente sulla psiche dell'individuo guidato da regole prestabilite e ben precise con l'obiettivo finale di ripristinare l'equilibrio perduto. Detto ciò, è evidente come, attraverso l'arte, si favoriscano lo sviluppo e la crescita psichica. L'individuo viene guidato dallo Psicologo nell'elaborazione ed estrazione dei contenuti del proprio mondo interno e conseguentemente elabora ciò che è emerso. In questo modo, l'espressione dei contenuti psichici emersi si traduce in una rappresentazione simbolica del nostro mondo interno e degli atteggiamenti e comportamenti che mettiamo in atto nella quotidianità. 

Ma per fare arteterapia bisogna essere dei pittori provetti? 

Assolutamente no!! Non è richiesta alcuna preparazione artistica in quanto bisogna stimolare un processo creativo e non sottoporsi ad un'interrogazione alla lavagna. 

Quali sono i benefici dell'arteterapia per il ripristino del benessere psicologico? 

Ne vediamo qui alcuni tra i più importanti.

- Promozione dell'ordine e dell'armonia;

- Stimola il potenziale creativo; 

- Dà significato alla realtà psichica e al mondo esterno attraverso simboli, immagini e metafore; 

- Crea un ponte tra il vissuto soggettivo e la realtà oggettiva; 

- Genera catarsi; 

- Favorisce la chiarificazione emotiva; 

- Riduce stress, ansia e depressione;

- Protegge dalle psicosi. 

Il lavoro terapeutico riguarda la ricerca di associazioni tra le scelte creative e la vita psichica dell'individuo. L'opera viene concepita in un'ottica di risveglio di ricordi e storie, o il racconto di queste, che hanno il potere di svelare messaggi inconsci o come un modo immediato di comunicare per chi non può farlo in maniera convenzionale, come ad esempio gli individui autistici. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo


18 maggio 2023

Disforia

Le emozioni ci accompagnano lungo il percorso della vita e in ogni momento sono la luce che illumina il cammino. A volte però, possono verificarsi insoliti cambiamenti che fungono da campanelli di allarme e ci segnalano che qualcosa non va. 

L'incapacità di gestire emozioni, piacevoli o no, costituisce una difficoltà molto impattante nella vita di ognuno. Un esempio di questo è dato dalla reazione di rabbia che può sfuggire al nostro controllo in seguito ad uno stimolo o evento. Secondo il DSM-5, la disregolazione emotiva si manifesta in disturbi come gli attacchi di panico, la depressione, i comportamenti impulsivi, l'ansia e i disturbi della condotta alimentare. 

Che cos'è la disregolazione emotiva? 

Essa consiste nell'incapacità di regolare l'intensità delle proprie emozioni. Essere in balia di queste, essere instabili emotivamente, oscillare repentinamente tra uno stato emotivo e l'altro, sperimentare il "fuori controllo" attraverso un uragano di sentimenti di ansia, angoscia, mancanza di energia malessere totale e bassa autostima sono tutte esperienze altamente destabilizzanti per chiunque. 

Dove risiede la causa della disregolazione emotiva? 

In letteratura tra i fattori principali che possono causare questo destabilizzante fenomeno vengono indicati: fattori biologici, fattori ambientali, traumi, legami di attaccamento disfunzionali. Una delle prospettive dominanti vede come causa primaria della disregolazione emotiva una tipologia di relazione poco sostanziosa e nutriente con una delle figure di attaccamento primarie e quindi, la madre o il padre. A sostegno di ciò, esistono numerosi studi basati sull'osservazione dei legami sociali e relazionali tra madre e piccolo nelle colonie di scimmie rhesus che evidenziano proprio le dinamiche disfunzionali. Gli scienziati sostengono infatti che i piccoli, non avendo madri responsive ed erogatrici di risposte adeguate ai loro bisogni emotivi, innescano dinamiche disadattive ed aggressive nell'interazione sociale.  

Disforia vs. Euforia

Riduzione e perdita dell'intensità emotiva (disforia): a volte possiamo percepire una strana sensazione di perdita delle emozioni. Una deaffettivizzazione che si manifesta sotto forma di carenza pervasiva del vissuto emozionale. In ambito clinico questo quadro è caratteristico dei soggetti anedonici. Con il termine anedonia si indica proprio specificamente una perdita della capacità di provare gioia e piacere rispetto a qualsiasi aspetto della vita. 

Esacerbazione emotiva (euforia, mania): l'euforia o mania connota uno stato di eccessiva allegria che ha caratteristiche di bizzarria ed inappropriatezza rispetto alla situazione. 

Ottundimento: totale o parziale mancanza di sensibilità alle esperienze emotive. 

Appiattimento emotivo: riduzione della gamma emozionale. 

In caso di disregolazione emotiva la ricerca della relazione di aiuto psicologico è un passo fondamentale al fine di ripristinare il benessere psicologico dell'individuo. Il trattamento psicologico aiuta e sostiene nell'esplorazione del repertorio di emozioni che le persone mettono in atto, identifica i processi e i meccanismi psicologici alla base del funzionamento disfunzionale e lavora in un'ottica di sviluppo di strategie alternative di individuazione ed espressione emotiva. 

"Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l'apatia in movimento" (Jung). 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo


17 maggio 2023

LO SVILUPPO EMOTIVO NEL BAMBINO

Dall'analisi della letteratura scientifica è possibile evincere come le emozioni vengano alla luce insieme a noi. Esistono infatti diverse teorie e molteplici studi effettuati nell'ambito dello sviluppo emozionale. 

Qui, oggi, vedremo 3 teorie tra le più importanti riguardanti questo vasto ambito psicologico. 

La prima e quella che possiede maggiore rilievo, è sicuramente la Teoria Differenziale di Izard ed Ekman (Izard e colleghi, 1977). Tale teoria sostiene che le emozioni siano innate ed universali e che si sviluppino all'interno di un insieme di emozioni primarie o altrimenti dette emozioni di base. Queste sono la gioia, la paura, la tristezza, la rabbia e il disgusto e possono essere facilmente riscontrate e riconosciute nelle espressioni facciali dei neonati. Ekman sostiene che esista una intima relazione tra le emozioni e le espressioni facciali. 

La seconda teoria è stata ideata da Bridge (Bridge, 1932) ed è nota come la Teoria della Differenziazione secondo cui le emozioni sono il prodotto di un complesso ed intricato processo di differenziazione che ha inizio con uno stato eccitatorio primario indifferenziato. Durante i primi 3 mesi di vita del neonato avviene una differenziazione all'interno del processo eccitatorio primario in cui si distinguono uno stato emotivo negativo caratterizzato da sconforto da un lato e dall'altro uno stato emotivo positivo di piacere. 

Ma attraverso quale processo avviene tutto ciò? 

Secondo Sroufe (Sroufe, 2000) il punto focale si trova nel concetto di valutazione cognitiva per mezzo del quale l'eccitazione primaria indifferenziata viene valutata cognitivamente fino a generare l'emozione vera e propria. Sroufe ha individuato 3 sistemi gerarchici di valutazione cognitiva: 

1- Sistema gerarchico di piacere-gioia: questo sistema è caratterizzato da una generale sensazione di benessere in cui il neonato attua il cosiddetto sorriso endogeno, ossia un riflesso spontaneo causato da un input comunicativo. 

2- Sistema gerarchico della paura-circospezione: caratterizzato dal pianto che scaturisce dall'esposizione a stimoli troppo intensi. 

3- Sistema gerarchico della rabbia-frustrazione: quest'ultimo sistema è caratterizzato dal pianto causato da una situazione di impedimento fisico. 

Da quanto evidenziato è facile notare come secondo l'autore la risposta emotiva sia prodotta dall'attività cognitiva nel processo di elaborazione dello stato meramente eccitatorio primario indifferenziato.  

La terza teoria è nota come Teoria Componenziale di Scherer e Levental (Scherer e Levental, 1984-1087). Questo approccio sostiene che le emozioni originano da primordiali forme indifferenziate innate per poi differenziarsi in esperienze emotive man mano sempre più complesse. I due esponenti di questo approccio hanno individuato 3 livelli componenziali attraverso cui un evento emotigeno primordiale si trasforma in un'emozione complessa e differenziata vera e propria. 

1- Livello senso-motorio: attraverso stimoli esterni vengono attivati pattern espressivo-motori innati che suscitano eventi emotigeni primordiali come la piacevolezza; 

2- Livello schematico: qui vengono stabiliti e fissati i primi schemi appunto che rappresentano prototipi di eventi emotigeni da cui scaturiscono emozioni più specifiche. 

3- Livello concettuale: a questo livello si sviluppa l'emozione complessa vera e propria a seguito di una riflessione sulle risposte comportamentali all'evento emotigeno e alle conseguenze di un'esperienza emotiva complessa. 

Man mano che la psiche del bambino si sviluppa, questi sarà sempre più in grado di comprendere, apprendere ed esprimere emozioni differenziate e complesse ma un ruolo fondamentale è svolto dai genitori o dalle figure che per il bambino sono più significative. I genitori possono essere dei buoni "insegnanti emotivi" in quanto essi fungono da modelli per i propri figli. Possono aiutarli a comprendere e riconoscere le emozioni, dominarle, insegnare l'empatia emotiva e stabilire relazioni interpersonali basate sull'espressione e il rispetto delle emozioni proprie ed altrui. Per tale ragione, è evidente come le dinamiche emotive dei genitori abbiano un forte impatto sulla sfera emozionale del bambino. 

Le emozioni sono la luce che ci guida in ogni momento della nostra vita e solo attraverso la regolazione emotiva possiamo acquisire le capacità di gestione, modulazione ed espressione di ogni singola emozione. Questo le renderà funzionali per in nostro benessere psico-fisico.  

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo

11 maggio 2023

Virtual Reality come cura nell'intervento clinico

Nell'utilizzo della Virtual Reality (VR) le terapie che vengono adoperate rientrano nell'ambito delle Terapie Digitali (TD) che sono sostanzialmente degli interventi che si basano sulle tecnologie per migliorare la qualità della vita dei soggetti. 
In particolare esse vengono usate nella prevenzione, diagnosi e nel trattamento dei disturbi e delle malattie. 
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Le TD sono supportate da una vasta letteratura scientifica che fornisce una validazione clinicamente per la cura psicologica di molteplici disturbi e patologie. Principalmente, si tratta di intervenire clinicamente sulla modificazione del comportamento del soggetto e del suo stile di vita. Un aspetto di particolare rilevanza nell'uso delle TD risiede nel concetto di "paziente connesso": nel trattamento i dati vengono raccolti On-Line e successivamente vengono analizzati sia a fini di monitoraggio sia come misura di prevenzione. 

Un fattore da tenere costantemente in considerazione nel trattamento terapeutico con la Virtual Reality è sicuramente l'aspetto più squisitamente "ludico": è noto, nonché ampiamente sostenuto dalla letteratura, che le attività legate al "gioco" consentono l'espressione inconscia di tutti quegli aspetti del proprio mondo psichico interno ed esterno.  

In quali contesti viene maggiormente applicato il trattamento attraverso la VR?

La VR è estremamente utile nel trattamento clinico di: 
- disturbi motori; 
- fobie e paure; 
- disturbo post-traumatico da stress (PTSD); 
- demenza di Alzheimer; 
- terapie del dolore; 
- disturbi della condotta alimentare e dell'immagine corporea; 
- autismo. 

Per chi non è adatta la VR come trattamento? 
- tossicodipendenza; 
- epilessia; 
- patologie cardiache; 
- psicoticismo. 

Avvertenza: il "dosaggio" della VR è da tenere sempre sott'occhio. Meglio puntare sull'efficacia del trattamento rispetto che sulla sua durata. 

La VR sostanzialmente consiste in un'esperienza multisensoriale e interattiva. Il primo aspetto, quello della multisensorialità, è legato al fatto che l'ambiente virtuale viene percepito dal soggetto attraverso i sensi: vista, udito, tatto e cinestesi. L'interattività e quindi la dinamicità del trattamento riguarda invece l'interazione con i movimenti di corpo, testa e arti. L'interfaccia più nota ed utilizzata nella VR sono i visori di realtà virtuale che consentono di "toccare, spostare e manipolare" oggetti virtuali proprio come si farebbe nella realtà. 

Di quali strumenti si avvale la VR? 
- guanti virtuali; 
- controller; 
-joypad; 
-arti virtuali. 

Attraverso la VR viene stimolata la capacità di percezione in quanto essa consente di simulare fedelmente e con un notevole realismo ambienti ed oggetti virtuali come se fossero davvero presenti nell'ambiente. Possiamo quindi indurre percezioni, esperienze e modulare, attraverso di esse, i canali sensoriali che entrano in gioco. 

La forza della VR risiede nel fatto che essa fornisce l'opportunità di conoscere, esplorare e manipolare l'ambiente mettendo in atto comportamenti le cui conseguenze possono essere analizzate in un ambiente protetto. Questo processo è noto come apprendimento senso-motorio, strettamente collegato al senso di presenza e quindi all'opportunità di scoprire e fare in prima persona. In questo modo, tutte le informazioni acquisite dal soggetto restano memorizzate più a lungo proprio grazie all'approccio diretto all'ambiente. 
L'uso delle tecnologie per la disabilità, come la VR, diventano sempre più rilevanti nell'ambiente sanitario e clinico grazie alle loro capacità "immersive" relate al coinvolgimento attivo ed emotivo di chi ne fa uso. Esse infatti sono in grado di suscitare emozioni profonde quali meraviglia, stupore, incanto, sorpresa e rapimento. 
Da questa breve trattazione è possibile notare come le possibilità e le opportunità fornite dalla VR siano notevolmente ampie, dove, l'unico limite è posto dalla fantasia. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo 

30 aprile 2023

5 Suggerimenti per chi è eccessivamente accondiscendente

Cari lettori, nella scrittura di questo nuovo articolo, colgo l'occasione per ringraziarvi tutti, ad uno ad uno (siamo arrivati a 7000 lettori) che, dalla nascita di questo progetto "Neuropsicobenessere", mi sostenete con la lettura appassionata ed inaspettata delle mie pagine. Un caloroso grazie a tutti voi. 

 

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Per definizione siamo animali sociali e abbiamo la necessità di condividere la nostra vita con le altre persone per confrontarci, parlare e arricchirci. 

Da questa premessa appare legittimo volersi circondare da soggetti con caratteristiche simili a noi. Tuttavia, nel momento in cui scegliamo di stringere un legame per noia, paura o solitudine, cercando di riempire vuoti interiori finiamo per accettare qualsiasi individuo o qualsiasi situazione.

E’ proprio qui che sta il nocciolo della situazione! Da ciò nasce l'esigenza di voler accontentare sempre tutti escludendo noi stessi. 

Essere sempre eccessivamente disponibili e quindi non saper dire mai di no non è il sinonimo di un buon grado di gentilezza. Questo risulta nocivo per noi, facendo passare noi in sempre in secondo piano. Naturalmente, con ciò non bisogna persare che sia sbagliato aiutare gli altri ma, come tutte le cose in cui si esagera, lo diventa nel momento in cui solo gli altri sono la priorità. 

Tra il voler essere gentile e il dover essere gentile esiste una linea sottilissima, che quando oltrepassata diventa nociva per noi stessi e può crearci danni a volte irreparabili. 

Arriviamo alla domanda da un miliardo di dollari. Cosa succede nel momento in cui siamo troppo disponibili e compiacenti verso gli altri? 

Annientando completamente la nostra persona e mettendo a tacere i nostri bisogni e i nostri desideri potremmo rischiare di far fronte a: 

- senso di colpa; 

- bassa autostima; 

- eccessiva insicurezza; 

- dipendeza emotiva; 

- necessità di approvazione altrui; 

- paura del giudizio altrui; 

- relazioni meno autentiche. 

A questo punto entriamo in un circolo vizioso molto pericoloso dove, diventa sempre più arduo uscire senza danni. 

Non si può vivere la propria vita per solo ed esclusivamente per accontentare gli altri mettendo al secondo posto sempre noi stessi. Qui è necessario fare una precisazione! Non si tratta certo di essre egoisti, ma solo di essere padroni di noi stessi, dei nostri desideri, delle nostre volontà e delle nostre scelte. 

Ecco 5 indicazioni da tenere sempre ben presenti prima di essere eccessivamente compiacenti con chiunque. 

1) Consapevolezza: il primo step per smettere di fare qualcosa è proprio rendersi conto ed accettare che l'ammiamo datta sino ad ora; 

2) Espressione di se stessi: riconoscere le proprie emozioni, i propri sentimenti, i propri bisogni e i propri desideri. 

3) Assertività: spiegare in modo deciso, sintetico e non aggressivo il perché di un no, è giusto. 

4) Fissare dei limiti: a lungo andare essere sempre troppo disponibili potrebbe portare gli altri ad approfittarsi senza scrupolo della nostra bontà d'animo e della nostra disponibilità, portandoli a mancarci di rispetto. Necessario è, farsi vedere come una persona che ha una propria voce, i propri spazi e che fa valere i suoi diritti e le proprie necessità. Fissare dei limiti e esporli chiaramente agli altri ci consentirà di tutelarci evitando di diventare vittime degli approfittatori seriali. 

5) Imparae a dire no: per chi è eccessivamente disponibile e accondiscendente è proprio questa la parte più complessa. Il saper dire di no, senza che gli altri si offendano o la prendano come un insulto. 

A questo punto risulta evidente come il bisogno di accontentare sempre gli altri provenga dal fatto che intrinsecamente vogliamo essere accettati (bisogno di accettazione), riconosciuti e piacere algi altri. Ma tutte le relazioni che creiamo compiacendo gli altri non sono veritiere. Nella vita, il rifiuto è inevitabile. La paura non deve bloccarci ed impedirci di fissare i nostri confini interiori, perché senza di essi non saremo rispettati. I confini chiari e ben comunicati seviranno a far sapere agli altri cosa possono chiederci e cosa possono aspettarsi da noi. Per tutelare il nostro se è utile stabilire o ristabilire un equilibrio tra passato e presente e non limitarsi ad essere semplicemente la conseguenza di ciò che è stato. 

Concludo con una frase molto significativa di Platone: "Non conosco la vita infallibile verso il successo. Ma una fallibile verso l'insuccesso: acontentare tutti. Con questa frase è eviedente come nel momento in cui perdiamo il nostro equilibrio psichico a vantaggio di quello dell'altro da se, perdiamo noi stessi. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo  

 

Alzheimer: killer silenzioso del millennio

Oggi sono molte le patologie neurologiche che influenzano lo stile di vita e ciò che fa la differenza rimane la prevenzione. L'Alzheimer...