18 maggio 2023

Disforia

Le emozioni ci accompagnano lungo il percorso della vita e in ogni momento sono la luce che illumina il cammino. A volte però, possono verificarsi insoliti cambiamenti che fungono da campanelli di allarme e ci segnalano che qualcosa non va. 

L'incapacità di gestire emozioni, piacevoli o no, costituisce una difficoltà molto impattante nella vita di ognuno. Un esempio di questo è dato dalla reazione di rabbia che può sfuggire al nostro controllo in seguito ad uno stimolo o evento. Secondo il DSM-5, la disregolazione emotiva si manifesta in disturbi come gli attacchi di panico, la depressione, i comportamenti impulsivi, l'ansia e i disturbi della condotta alimentare. 

Che cos'è la disregolazione emotiva? 

Essa consiste nell'incapacità di regolare l'intensità delle proprie emozioni. Essere in balia di queste, essere instabili emotivamente, oscillare repentinamente tra uno stato emotivo e l'altro, sperimentare il "fuori controllo" attraverso un uragano di sentimenti di ansia, angoscia, mancanza di energia malessere totale e bassa autostima sono tutte esperienze altamente destabilizzanti per chiunque. 

Dove risiede la causa della disregolazione emotiva? 

In letteratura tra i fattori principali che possono causare questo destabilizzante fenomeno vengono indicati: fattori biologici, fattori ambientali, traumi, legami di attaccamento disfunzionali. Una delle prospettive dominanti vede come causa primaria della disregolazione emotiva una tipologia di relazione poco sostanziosa e nutriente con una delle figure di attaccamento primarie e quindi, la madre o il padre. A sostegno di ciò, esistono numerosi studi basati sull'osservazione dei legami sociali e relazionali tra madre e piccolo nelle colonie di scimmie rhesus che evidenziano proprio le dinamiche disfunzionali. Gli scienziati sostengono infatti che i piccoli, non avendo madri responsive ed erogatrici di risposte adeguate ai loro bisogni emotivi, innescano dinamiche disadattive ed aggressive nell'interazione sociale.  

Disforia vs. Euforia

Riduzione e perdita dell'intensità emotiva (disforia): a volte possiamo percepire una strana sensazione di perdita delle emozioni. Una deaffettivizzazione che si manifesta sotto forma di carenza pervasiva del vissuto emozionale. In ambito clinico questo quadro è caratteristico dei soggetti anedonici. Con il termine anedonia si indica proprio specificamente una perdita della capacità di provare gioia e piacere rispetto a qualsiasi aspetto della vita. 

Esacerbazione emotiva (euforia, mania): l'euforia o mania connota uno stato di eccessiva allegria che ha caratteristiche di bizzarria ed inappropriatezza rispetto alla situazione. 

Ottundimento: totale o parziale mancanza di sensibilità alle esperienze emotive. 

Appiattimento emotivo: riduzione della gamma emozionale. 

In caso di disregolazione emotiva la ricerca della relazione di aiuto psicologico è un passo fondamentale al fine di ripristinare il benessere psicologico dell'individuo. Il trattamento psicologico aiuta e sostiene nell'esplorazione del repertorio di emozioni che le persone mettono in atto, identifica i processi e i meccanismi psicologici alla base del funzionamento disfunzionale e lavora in un'ottica di sviluppo di strategie alternative di individuazione ed espressione emotiva. 

"Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l'apatia in movimento" (Jung). 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo


17 maggio 2023

LO SVILUPPO EMOTIVO NEL BAMBINO

Dall'analisi della letteratura scientifica è possibile evincere come le emozioni vengano alla luce insieme a noi. Esistono infatti diverse teorie e molteplici studi effettuati nell'ambito dello sviluppo emozionale. 

Qui, oggi, vedremo 3 teorie tra le più importanti riguardanti questo vasto ambito psicologico. 

La prima e quella che possiede maggiore rilievo, è sicuramente la Teoria Differenziale di Izard ed Ekman (Izard e colleghi, 1977). Tale teoria sostiene che le emozioni siano innate ed universali e che si sviluppino all'interno di un insieme di emozioni primarie o altrimenti dette emozioni di base. Queste sono la gioia, la paura, la tristezza, la rabbia e il disgusto e possono essere facilmente riscontrate e riconosciute nelle espressioni facciali dei neonati. Ekman sostiene che esista una intima relazione tra le emozioni e le espressioni facciali. 

La seconda teoria è stata ideata da Bridge (Bridge, 1932) ed è nota come la Teoria della Differenziazione secondo cui le emozioni sono il prodotto di un complesso ed intricato processo di differenziazione che ha inizio con uno stato eccitatorio primario indifferenziato. Durante i primi 3 mesi di vita del neonato avviene una differenziazione all'interno del processo eccitatorio primario in cui si distinguono uno stato emotivo negativo caratterizzato da sconforto da un lato e dall'altro uno stato emotivo positivo di piacere. 

Ma attraverso quale processo avviene tutto ciò? 

Secondo Sroufe (Sroufe, 2000) il punto focale si trova nel concetto di valutazione cognitiva per mezzo del quale l'eccitazione primaria indifferenziata viene valutata cognitivamente fino a generare l'emozione vera e propria. Sroufe ha individuato 3 sistemi gerarchici di valutazione cognitiva: 

1- Sistema gerarchico di piacere-gioia: questo sistema è caratterizzato da una generale sensazione di benessere in cui il neonato attua il cosiddetto sorriso endogeno, ossia un riflesso spontaneo causato da un input comunicativo. 

2- Sistema gerarchico della paura-circospezione: caratterizzato dal pianto che scaturisce dall'esposizione a stimoli troppo intensi. 

3- Sistema gerarchico della rabbia-frustrazione: quest'ultimo sistema è caratterizzato dal pianto causato da una situazione di impedimento fisico. 

Da quanto evidenziato è facile notare come secondo l'autore la risposta emotiva sia prodotta dall'attività cognitiva nel processo di elaborazione dello stato meramente eccitatorio primario indifferenziato.  

La terza teoria è nota come Teoria Componenziale di Scherer e Levental (Scherer e Levental, 1984-1087). Questo approccio sostiene che le emozioni originano da primordiali forme indifferenziate innate per poi differenziarsi in esperienze emotive man mano sempre più complesse. I due esponenti di questo approccio hanno individuato 3 livelli componenziali attraverso cui un evento emotigeno primordiale si trasforma in un'emozione complessa e differenziata vera e propria. 

1- Livello senso-motorio: attraverso stimoli esterni vengono attivati pattern espressivo-motori innati che suscitano eventi emotigeni primordiali come la piacevolezza; 

2- Livello schematico: qui vengono stabiliti e fissati i primi schemi appunto che rappresentano prototipi di eventi emotigeni da cui scaturiscono emozioni più specifiche. 

3- Livello concettuale: a questo livello si sviluppa l'emozione complessa vera e propria a seguito di una riflessione sulle risposte comportamentali all'evento emotigeno e alle conseguenze di un'esperienza emotiva complessa. 

Man mano che la psiche del bambino si sviluppa, questi sarà sempre più in grado di comprendere, apprendere ed esprimere emozioni differenziate e complesse ma un ruolo fondamentale è svolto dai genitori o dalle figure che per il bambino sono più significative. I genitori possono essere dei buoni "insegnanti emotivi" in quanto essi fungono da modelli per i propri figli. Possono aiutarli a comprendere e riconoscere le emozioni, dominarle, insegnare l'empatia emotiva e stabilire relazioni interpersonali basate sull'espressione e il rispetto delle emozioni proprie ed altrui. Per tale ragione, è evidente come le dinamiche emotive dei genitori abbiano un forte impatto sulla sfera emozionale del bambino. 

Le emozioni sono la luce che ci guida in ogni momento della nostra vita e solo attraverso la regolazione emotiva possiamo acquisire le capacità di gestione, modulazione ed espressione di ogni singola emozione. Questo le renderà funzionali per in nostro benessere psico-fisico.  

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo

11 maggio 2023

Virtual Reality come cura nell'intervento clinico

Nell'utilizzo della Virtual Reality (VR) le terapie che vengono adoperate rientrano nell'ambito delle Terapie Digitali (TD) che sono sostanzialmente degli interventi che si basano sulle tecnologie per migliorare la qualità della vita dei soggetti. 
In particolare esse vengono usate nella prevenzione, diagnosi e nel trattamento dei disturbi e delle malattie. 
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Le TD sono supportate da una vasta letteratura scientifica che fornisce una validazione clinicamente per la cura psicologica di molteplici disturbi e patologie. Principalmente, si tratta di intervenire clinicamente sulla modificazione del comportamento del soggetto e del suo stile di vita. Un aspetto di particolare rilevanza nell'uso delle TD risiede nel concetto di "paziente connesso": nel trattamento i dati vengono raccolti On-Line e successivamente vengono analizzati sia a fini di monitoraggio sia come misura di prevenzione. 

Un fattore da tenere costantemente in considerazione nel trattamento terapeutico con la Virtual Reality è sicuramente l'aspetto più squisitamente "ludico": è noto, nonché ampiamente sostenuto dalla letteratura, che le attività legate al "gioco" consentono l'espressione inconscia di tutti quegli aspetti del proprio mondo psichico interno ed esterno.  

In quali contesti viene maggiormente applicato il trattamento attraverso la VR?

La VR è estremamente utile nel trattamento clinico di: 
- disturbi motori; 
- fobie e paure; 
- disturbo post-traumatico da stress (PTSD); 
- demenza di Alzheimer; 
- terapie del dolore; 
- disturbi della condotta alimentare e dell'immagine corporea; 
- autismo. 

Per chi non è adatta la VR come trattamento? 
- tossicodipendenza; 
- epilessia; 
- patologie cardiache; 
- psicoticismo. 

Avvertenza: il "dosaggio" della VR è da tenere sempre sott'occhio. Meglio puntare sull'efficacia del trattamento rispetto che sulla sua durata. 

La VR sostanzialmente consiste in un'esperienza multisensoriale e interattiva. Il primo aspetto, quello della multisensorialità, è legato al fatto che l'ambiente virtuale viene percepito dal soggetto attraverso i sensi: vista, udito, tatto e cinestesi. L'interattività e quindi la dinamicità del trattamento riguarda invece l'interazione con i movimenti di corpo, testa e arti. L'interfaccia più nota ed utilizzata nella VR sono i visori di realtà virtuale che consentono di "toccare, spostare e manipolare" oggetti virtuali proprio come si farebbe nella realtà. 

Di quali strumenti si avvale la VR? 
- guanti virtuali; 
- controller; 
-joypad; 
-arti virtuali. 

Attraverso la VR viene stimolata la capacità di percezione in quanto essa consente di simulare fedelmente e con un notevole realismo ambienti ed oggetti virtuali come se fossero davvero presenti nell'ambiente. Possiamo quindi indurre percezioni, esperienze e modulare, attraverso di esse, i canali sensoriali che entrano in gioco. 

La forza della VR risiede nel fatto che essa fornisce l'opportunità di conoscere, esplorare e manipolare l'ambiente mettendo in atto comportamenti le cui conseguenze possono essere analizzate in un ambiente protetto. Questo processo è noto come apprendimento senso-motorio, strettamente collegato al senso di presenza e quindi all'opportunità di scoprire e fare in prima persona. In questo modo, tutte le informazioni acquisite dal soggetto restano memorizzate più a lungo proprio grazie all'approccio diretto all'ambiente. 
L'uso delle tecnologie per la disabilità, come la VR, diventano sempre più rilevanti nell'ambiente sanitario e clinico grazie alle loro capacità "immersive" relate al coinvolgimento attivo ed emotivo di chi ne fa uso. Esse infatti sono in grado di suscitare emozioni profonde quali meraviglia, stupore, incanto, sorpresa e rapimento. 
Da questa breve trattazione è possibile notare come le possibilità e le opportunità fornite dalla VR siano notevolmente ampie, dove, l'unico limite è posto dalla fantasia. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo 

30 aprile 2023

5 Suggerimenti per chi è eccessivamente accondiscendente

Cari lettori, nella scrittura di questo nuovo articolo, colgo l'occasione per ringraziarvi tutti, ad uno ad uno (siamo arrivati a 7000 lettori) che, dalla nascita di questo progetto "Neuropsicobenessere", mi sostenete con la lettura appassionata ed inaspettata delle mie pagine. Un caloroso grazie a tutti voi. 

 

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Per definizione siamo animali sociali e abbiamo la necessità di condividere la nostra vita con le altre persone per confrontarci, parlare e arricchirci. 

Da questa premessa appare legittimo volersi circondare da soggetti con caratteristiche simili a noi. Tuttavia, nel momento in cui scegliamo di stringere un legame per noia, paura o solitudine, cercando di riempire vuoti interiori finiamo per accettare qualsiasi individuo o qualsiasi situazione.

E’ proprio qui che sta il nocciolo della situazione! Da ciò nasce l'esigenza di voler accontentare sempre tutti escludendo noi stessi. 

Essere sempre eccessivamente disponibili e quindi non saper dire mai di no non è il sinonimo di un buon grado di gentilezza. Questo risulta nocivo per noi, facendo passare noi in sempre in secondo piano. Naturalmente, con ciò non bisogna persare che sia sbagliato aiutare gli altri ma, come tutte le cose in cui si esagera, lo diventa nel momento in cui solo gli altri sono la priorità. 

Tra il voler essere gentile e il dover essere gentile esiste una linea sottilissima, che quando oltrepassata diventa nociva per noi stessi e può crearci danni a volte irreparabili. 

Arriviamo alla domanda da un miliardo di dollari. Cosa succede nel momento in cui siamo troppo disponibili e compiacenti verso gli altri? 

Annientando completamente la nostra persona e mettendo a tacere i nostri bisogni e i nostri desideri potremmo rischiare di far fronte a: 

- senso di colpa; 

- bassa autostima; 

- eccessiva insicurezza; 

- dipendeza emotiva; 

- necessità di approvazione altrui; 

- paura del giudizio altrui; 

- relazioni meno autentiche. 

A questo punto entriamo in un circolo vizioso molto pericoloso dove, diventa sempre più arduo uscire senza danni. 

Non si può vivere la propria vita per solo ed esclusivamente per accontentare gli altri mettendo al secondo posto sempre noi stessi. Qui è necessario fare una precisazione! Non si tratta certo di essre egoisti, ma solo di essere padroni di noi stessi, dei nostri desideri, delle nostre volontà e delle nostre scelte. 

Ecco 5 indicazioni da tenere sempre ben presenti prima di essere eccessivamente compiacenti con chiunque. 

1) Consapevolezza: il primo step per smettere di fare qualcosa è proprio rendersi conto ed accettare che l'ammiamo datta sino ad ora; 

2) Espressione di se stessi: riconoscere le proprie emozioni, i propri sentimenti, i propri bisogni e i propri desideri. 

3) Assertività: spiegare in modo deciso, sintetico e non aggressivo il perché di un no, è giusto. 

4) Fissare dei limiti: a lungo andare essere sempre troppo disponibili potrebbe portare gli altri ad approfittarsi senza scrupolo della nostra bontà d'animo e della nostra disponibilità, portandoli a mancarci di rispetto. Necessario è, farsi vedere come una persona che ha una propria voce, i propri spazi e che fa valere i suoi diritti e le proprie necessità. Fissare dei limiti e esporli chiaramente agli altri ci consentirà di tutelarci evitando di diventare vittime degli approfittatori seriali. 

5) Imparae a dire no: per chi è eccessivamente disponibile e accondiscendente è proprio questa la parte più complessa. Il saper dire di no, senza che gli altri si offendano o la prendano come un insulto. 

A questo punto risulta evidente come il bisogno di accontentare sempre gli altri provenga dal fatto che intrinsecamente vogliamo essere accettati (bisogno di accettazione), riconosciuti e piacere algi altri. Ma tutte le relazioni che creiamo compiacendo gli altri non sono veritiere. Nella vita, il rifiuto è inevitabile. La paura non deve bloccarci ed impedirci di fissare i nostri confini interiori, perché senza di essi non saremo rispettati. I confini chiari e ben comunicati seviranno a far sapere agli altri cosa possono chiederci e cosa possono aspettarsi da noi. Per tutelare il nostro se è utile stabilire o ristabilire un equilibrio tra passato e presente e non limitarsi ad essere semplicemente la conseguenza di ciò che è stato. 

Concludo con una frase molto significativa di Platone: "Non conosco la vita infallibile verso il successo. Ma una fallibile verso l'insuccesso: acontentare tutti. Con questa frase è eviedente come nel momento in cui perdiamo il nostro equilibrio psichico a vantaggio di quello dell'altro da se, perdiamo noi stessi. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo  

 

16 aprile 2023

Benessere Psicologico

Che cos'è il benessere psicologico

In occasione della settimana dedicata al benessere psicologico, oggi vedremo insieme di cosa si tratta e le strategie per mantenere nel tempo un adeguato livello di ben-essere. 


Il termine benessere psicologico può essere considerato un termine ombrello articolato e complesso. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il benessere psicologico come una condizione in cui "l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità emotive e cognitive, esercitare la propria funzione nella società, rispondere alle esigenze quotidiane della propria vita, stabilire relazioni soddisfacenti e mature, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell'ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni". 

Da tale definizione è facile intuire come il termine di cui sopra riguardi un equilibrio tra la persona, i suoi bisogni e le risorse mentali, quindi la sfera personale e razionale che può essere impiegata per raggiungere obiettivi e fronteggiare le difficoltà, la capacità di relazionarsi con se stesso e con gli altri e la possibilità di adattarsi alle sfide della vita quotidiana per promuovere lo stato di benessere mentale.  

Nel corso degli anni, la letteratura ha proposto diverse teorie e modelli nel tentativo di spiegare questo costrutto. Sono state individuate due prospettive differenti: la prima, è quella puramente edonistica, secondo la quale il benessere è associato alla felicità e che quindi esso coincida esclusivamente con la percezione di sensazioni ed emozioni positive; la seconda prospettiva, quella eudaimonica invece, sostiene che il benessere psicologico possa essere raggiunto attraverso una conoscenza di sé autentica. 

Carol Ryff sostiene che la felicità non è tutto nella vita e che la struttura sottostante al benessere è molto più complessa del semplice concetto di felicità e anche di quanto si possa evincere dalla letteratura esistente riguardo a questo argomento. Secondo Ryff, il benessere si configura come un processo dinamico e multidimensionale costituito da elementi specifici che inquadrano le dimensioni fondamentali del benessere dell'individuo. 

Quali sono quindi queste dimensioni? 

- Autoaccettazione; 

- Autonomia; 

- Controllo del mondo esterno; 

- Relazioni positive con gli altri; 

- Conoscenza di Sé; 

- Crescita personale; 

- Scopo nella vita.

Risulta di fondamentale importanza, nel momento in cui ci si trova in un momento di malessere, prendersi del tempo per riflettere su sé stessi, su quali siano i propri bisogni reali, i propri obiettivi e scopi di vita e le difficoltà principali che precludano il loro raggiungimento. Inoltre, è indispensabile riflettere sulle proprie risorse mentali e sulle life skills o a abilità per la vita che è necessario assimilare e potenziare per affrontare le diverse situazioni problematiche che possono essere incontrare nella vita di tutti i giorni. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo

 

08 marzo 2023

8 Marzo - Festa della donna

La giornata dell'8 Marzo - Festa della donna nacque nel 1909 negli Stati Uniti e fu indetta dal Partito Socialista con l'obiettivo di porre attenzione sul diritto di voto alle donne. In seguito si aggiunsero altre motivazioni come ad esempio l'aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni lavorative femminili.  

Il 25 marzo 1911 nella fabbrica Triangle di New York molti lavoratori, soprattutto donne immigrate, morirono in un incendio. Questo accadimento è la probabile causa per cui erroneamente la maggior parte delle persone pensa che la data dell'8 marzo commemori le operaie morte in un altro rogo di New York, alla fabbrica Cotton. In realtà questi dati nascono dalla giornata in cui un gruppo di donne a San Pietroburgo scese in piazza per chiedere la fine della guerra: era l'8 marzo 1917. 

Io sono del parere che il rispetto e la dignità dell'essere umano in quanto tale, uomo o donna che sia, non debba mancare mai. In ogni caso, vorrei approfittare di questa giornata per ricordare tutte quelle donne che nel corso della propria vita sono state vittime di violenza, abusi e soprusi di ogni genere, e tutti coloro che lottano ogni giorno per i diritti di vita fondamentali.

Nell'ottica e nella speranza di una riduzione nel tempo di queste perduranti disuguaglianze la Psicologia può svolgere un ruolo di primaria importanza, sia per la sua competenza nel miglioramento dei legami e delle relazioni tra i generi, sia per la capacità nel fornire supporto agli individui nel dare forma a credenze e rappresentazioni mentali, favorendo il benessere e il cambiamento sociale all'interno della società.        

La violenza di genere si inserisce nel quadro delle più ricorrenti e diffuse violazioni dei diritti umani con caratteristiche simili in tutti i paesi della Terra, diffuso in ogni periodo storico con elevate probabilità di impunità per gli autori che si accompagna a vergogna e colpevolizzazione per le vittime. Le conseguenze della violenza sulle donne possono protrarsi sui diversi piano che costituiscono la globalità degli individui, ovvero sul piano psicologico, fisico e sessuale nell’arco dell’intera vita di chi la subisce.          

A tale fenomeno vanno poi associate ulteriori discriminazioni che possono verificarsi fin dall'infanzia e che impediscono la piena inclusione nel tessuto sociale, come ad esempio il difficile accesso alla scolarizzazione che si traduce, nel tempo, in difficoltà sul piano della salute, dell’accesso al mondo del lavoro e più in generale sull’emancipazione e piena autonomia dell'individuo. 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo

07 febbraio 2023

Il bullismo

Il bullismo uccide!

In occasione della Giornata nazionale e internazionale contro il bullismo ed ogni forma di violenza ad esso correlata, oggi vedremo di cosa si tratta, quali sono le tipologie di bullismo e come contrastarlo. 

Neuropsicobenessere-bullismo


Quello del bullismo è un fenomeno caratterizzato da atti aggressivi e persecutori nei confronti di persone che sono realmente o idealmente percepite come "diverse" dalle altre, o nel caso dell'adolescenza, "diverse" dal resto del gruppo. Questi atti aggressivi e persecutori sono caratterizzati da ripetitività, intenzionalità ed asimmetria di potere, reale o percepita, tra la vittima e il bullo 

In questo fenomeno i ruoli sono ben definiti. C'è il bullo, che è colui che mette in atto le aggressioni e le umiliazioni nei confronti della vittima. C'è, la vittima, che è quella subisce le ripetitive aggressioni e poi ci sono gli astanti passivi, che sono coloro che guardano senza reagire alle prevaricazioni perpetrate dal bullo. 

La figura professionale dello Psicologo è fondamentale nell'individuazione tempestiva del disagio psicologico delle vittime e degli abusi verbali, fisici e psicologici attuati dai bulli al fine di arginare lo sviluppo di conclamati disturbi psicologici derivanti da questo fenomeno. Inoltre, è indispensabile nella promozione delle risorse mentali delle vittime che si trovano a vivere questi episodi in fasce d'età delicate, come quelle dello sviluppo o dell'adolescenza. 

Le disastrose conseguenze che il bullismo ha su chi ne è vittima sono: ansia, depressione, attacchi di panico, agorafobia, isolamento sociale, dipendenza, scarsa autostima e nei casi più gravi suicidio e psicosi. 

Il bullismo può essere diretto o indiretto:

-diretto: gli atti aggressivi sono diretti alla vittima in prima persona;

-indiretto: la vittima subisce le aggressioni per vie trasversali, per esempio attraverso la diffusione di informazioni personali delicate o facendo circolare pettegolezzi diffamatori per screditare la credibilità e l'affidabilità della persona. 

Quali sono le tipologie di bullismo? 

Ci sono diverse tipologie che caratterizzano gli atti aggressivi e persecutori tipici del bullismo: 

-bullismo verbale: caratterizzato dall'uso del linguaggio per arrecare danno alle vittime attraverso l'uso di nomignoli o parole dispregiative; 

-bullismo fisico: caratterizzato da aggressioni fisiche come colpi, spintoni, pizzichi, schiaffi, calci e pugni e distruzione o sottrazione di oggetti personali; 

-bullismo sociale: questa tipologia è messa in atto attraverso l'esclusione sociale e l'isolamento delle vittime dal gruppo sociale o diffondendo menzogne e falsità con l'intenzione di ledere la dignità della vittima; 

-cyberbullismo: tipologia che si manifesta con l'uso di internet e dei social per diffamare le vittime e danneggiarne l'autostima. 

Parlare delle aggressioni e denunciarle non è sinonimo di incapacità o debolezza. L'unico modo per far emergere tali comportamenti e parlarne con i genitori, con i professori e con gli psicologi. Molti studi evidenziano come i danni psicologici derivanti dal fenomeno del bullismo sono molto più gravi e duraturi rispetto a quelli fisici. 

Esistono diverse strategie che lo Psicologo può attuare per favorire l'elaborazione delle emozioni, ricostruire la fiducia, l'autostima e la salute psicologica delle vittime di bullismo. La prevenzione e la sensibilizzazione sono essenziali per contrastare l'insorgenza del bullismo a qualsiasi età e in qualsiasi ambito. Accanto alla prevenzione è fondamentale anche lo sviluppo delle life skills, ovvero abilità cognitive, emotive e relazionali. Le life skills sono necessarie per l'acquisizione di comportamenti efficaci ed adattivi per affrontare positivamente la vita. 

Le life skills ono suddivise in 3 categorie: emotive, cognitive e relazionali. 

-emotive: consapevolezza di sé, buon livello di autostima e autoefficacia, gestione delle emozioni e dello stress; 

-cognitive: pensiero critico, decision making, pensiero creativo e problem solving; 

-relazionali: comunicazione efficace ed assertiva, empatia e relazioni efficaci, 

Il bullismo uccide! Diciamo basta al bullismo. #UNITETOENDBULLYING 

Dott. Pierluigi Ricci - Psicologo






Alzheimer: killer silenzioso del millennio

Oggi sono molte le patologie neurologiche che influenzano lo stile di vita e ciò che fa la differenza rimane la prevenzione. L'Alzheimer...